Friuli: il giorno della fragilità

Maggio 1976, il primo terremoto devastante nell'era della televisone si abbatte sul Friuli, insegnando all’Italia la precarietà dell’esistenza ma anche un insperato senso di solidarietà ed efficienza. (Foto di Fabrizio Delmati)

“Ho vissuto una settimana in quei posti di dolore, ma ricordo di aver trovato delle persone di grande

spessore e di una dignità enorme.” Ricorda così Fabrizio Dalmati, autore delle immagini di questo servizio. Se dovessimo descrivere con quattro tags, come di dice oggi e non si diceva allora, quell’episodio emozionale, questi sono stupore, solidarietà, dignità ed efficienza.

Stupore fu quello di una nazione che d’improvviso, televisivamente, scoprì quanto un evento naturale può distruggere ciò che siamo, e ciò che pensiamo di avere. Il paese fu scosso, e le notti non furono per un bel po’ di tempo quelle di prima.

Solidarietà. Proprio il sentimento comune portò l’Italia a muoversi come forse era successo solo per Firenze, anni prima. Solo che in Friuli era tutto più grande: la tragedia, lo stupore, le vittime, il dolore.

Dignità. Fu quella della gente friulana, abituata da sempre ad emigrare, alla precarietà ma allo stesso tempo alla dignitosa capacità di fare da se’, senza bisogno di aspettare aiuti.

Efficienza.  Ed ecco l’ultima, di parola, quello che si chiamò di nuovo niracolo, non italiano ma friulano. Ordine che prese subito posto del caos. Paesi che rinassero in poche settimane, case nuove che subito cancellavano le macerie di quelle vecchie. A dire che in Italia, o almeno in Friuli, se si vuole, si può.

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