Riconoscere i più bravi, metodo eccellente

Il riconoscimento del merito e la valorizzazione del talento per creare eccellenze, dovrebbe essere un’abitudine consolidata, sempre e non solo congiunta alla casualità attivata dalla sorte

Giorni addietro leggendo un articolo, su un noto quotidiano nazionale, lo sguardo si è fermato su due righe, “Noi siamo quello che facciamo, sempre. L'eccellenza non è un atto ma un'abitudine." (Aristotele), e la mente mi ha riportato per un attimo agli anni trascorsi a Firenze mentre, tra amici e gite “fuori porta”, frequentavo l’università… Non ero certo “eccellente” come studentessa, ma a volte, per un ventisette firmato sul libretto, mi dicevo…”forse ho talento, me lo merito..”.

E, anche se allora, merito e talento rappresentavano per me, solo due termini tra le migliaia raccolti nel celeberrimo “Devoto-Oli”, talento forse un po’ ne avevo, perlomeno così mi dicevano, “hai talento, sei creativa…”, in quanto al merito be, forse un po’ meno, anche se credo che, oggi come allora,  anche il contesto universitario avrebbe dovuto fornirmi qualche strumento in più per far scaturire le mie, molto sottese, potenziali qualità.

Ma cosa significa talento? E’ peculiarità esclusiva di pochi eletti o è un qualcosa che appartiene, secondo diverse modalità, a tutti? E solo una questione personale di fermezza nel perseguire determinati obiettivi o, diversamente il talento scaturisce da ambienti e contesti che possono favorirne la crescita?  

Non è solo la dote "naturale" a determinare il successo personale, ma piuttosto credo a una delicata interazione tra passione, attitudine, impegno, sacrificio e opportunità, che stimola l’individuo a raggiungere i più alti livelli di affermazione e a condurre esistenze ricche di significato e scopo.

Il talento è sì anche predisposizione, ma soprattutto volontà, libertà di realizzarsi e responsabilità; richiede la capacità di investire su se stessi, e saper valorizzare, il proprio "dono" .

Per questo ritengo fondamentale il supporto educativo e didattico, poiché decisiva sarà la presenza di una o più figure di riferimento: famiglia, maestri, docenti, modelli, mentori, che attraverso la conoscenza del giovane, sapranno incanalarne l’attitudine personale.  

Un paese “serio” è quello che prende sul serio il talento e il merito dei nostri giovani, che investe sulla ricerca, che sa che nei momenti di crisi solo capitalizzando queste risorse umane potrà avere la forza per ridare speranza e dignità.

La scuola e l’università con la sua formazione, la meritocrazia (dal latino meritum, riconoscimento professionale o morale  che viene conferito solo secondo esperienze e competenze), l’apprendistato, la valorizzazione delle reti di eccellenza (tecnologica, scientifica, culturale, produttiva, solidale) sono argomenti troppo seri che non possono essere risolti nella complessità di grandi piani strategici, con le continue ristrutturazioni, con la perdita di risorse umane, ma seguendo i principi di una gestione concreta, con azioni concrete che non permettano più l’interminabile “fuga” di migliaia di giovani laureati e ricercatori all’estero dove il talento, la competenza, ma soprattutto il riconoscimento del merito, viene lautamente compensato.     

Il riconoscimento del merito e la valorizzazione del talento per creare eccellenze, dovrebbe essere un’abitudine consolidata, sempre e non solo congiunta alla casualità attivata dalla sorte.

Purtroppo ancora oggi, in ogni ambito professionale, travalicando i confini geografici,  l’appartenenza politica, religiosa o sociale, la definizione di merito ha perso una parte rilevante di senso a favore di una accezione più ampia dove, la diffusione del favoritismo dilagante a discapito di una vera concezione meritocratica, ferisce e  impedisce la crescita dei più meritevoli.

Non può esserci “eccellenza” senza merito e talento, ma solo sfuggevole “apparenza”!


Il riconoscimento del merito e la valorizzazione del talento per creare eccellenze, dovrebbe essere un’abitudine consolidata, sempre e non solo congiunta alla casualità attivata dalla sorte.

Purtroppo ancora oggi, in ogni ambito professionale, travalicando i confini geografici,  l’appartenenza politica, religiosa o sociale, la definizione di merito ha perso una parte rilevante di senso a favore di una accezione più ampia dove, la diffusione del favoritismo dilagante a discapito di una vera concezione meritocratica, ferisce e  impedisce la crescita dei più meritevoli.

Non può esserci “eccellenza” senza merito e talento, ma solo sfuggevole “apparenza”!


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