Essere città, fra consapevolezza e apparenza.

Bologna, Udine, Treviso, Venezia. Un viaggio di suggestione non fra i monumenti ma nel loro senso di essere. Alcune, città che esprimono una identità profonda, e altre che subiscono una immagine che il troppo sbraitare gli ha solo appiccicato addosso.

Bologna è donna emiliana di zigomo forte. Bologna capace d' amore, capace di morte.  Bologna sa quel che conta e che vale... così Guccini, a dire una città che essenzialmente è. Sapere quel che si conta, saper quel che si vale, essenza di città leader. Bologna è bella, a metà fra la meta turistica e una vocazione fieristica che la distrae, ma neanche tanto. Il centro storico è una di quelli capaci di darti il medioevo come è stato a nord dell’appennino. Una città dotta e sapiente che iniziava a guardare l’Europa.  Bologna è una città leader, che s’impone. Una città che ha qualcosa di vero da raccontare, magari spesso fuori rotta, ma capace di lasciarti una traccia. Città leader, al di fuori del luogo comune. Udine è una voce meno sussurrata dentro una piana troppo uguale.

Udine messa lì a reggere un confine costato tanto alla Mitteleuropa.

Udine che secoli fa era un palo dove si faceva mercato. Da allora, poco per volta, è cresciuta città che non sbraita, non urla, non si ferma a far gazzarre. Udine, semplicemente, fa. Udine semplicemente è. Come l’Udinese calcio, espressione della città. Da anni lì,  anche senza vincere, semplicemente imponendo un segno. L’efficienza, la pacatezza, il mancato isterismo, la testarda voglia di non apparire al di fuori di quel che si è. Ecco, Udine turisticamente è come la sua squadra di calcio, da anni segnata da una mutazione simbolica, dalla grande riga nera che attraversava il bianco alle strisce portate degnamente anche quando uno zebrato di altro lignaggio stava un po’ più in basso nella scala sportiva. Perché l’Udinese calcio ha il sapore della città, il suo profumo, quella identità che va al di là delle generazioni, delle persone, anche al di là del volatile concetto di moda, quel profumo d’identità che si confonde con la parola cultura.

Cultura. La differenza di capire la fallacia di un luna-park, di non confondere l’essere col vincere, il fare con l’annunciare, il dire con lo sbraitare. Cultura… già.

E allora Treviso E’ bellissima Treviso. Meravigliosamente bella, colorata, sorridente, pulita. Ordinata ma mai spenta. Fiorita nelle chiacchiere della piazza dei Signori, ridente nelle pedalate delle ragazze che passano veloci accanto alla loggia, pulita nel correre del Sile, un cantare tranquillo, sereno. E’ meravigliosa Treviso, con vie belle e palazzi rinascimentali mai austeri, sapori che chiederebbero poco, solo buonsenso, come alla fine tutto il veneto, se riuscisse ad uscire da quella ubriacatura dello sbraitare che confonde tutto, anche il bello.

 “In un periodo in cui si fa un gran parlare di radici, di identità culturale dei Veneti, ho la sensazione che tutto questo si traduca in tesi preconfezionate, in un qualcosa (non so bene cosa) da dimostrare a tutti i costi. Ecco, a me preme raccontare che nell’anima della gente della mia terra albergano anche inquietudine, voglia di cambiamento, sfida, volontà di progresso, sete di esplorazione. E dunque spazio per la grande domanda esistenziale che riguarda, tout court, l’uomo e il suo destino. Insomma che cosa deve fare l’uomo della sua vita, in determinate condizioni storiche, che senso ha il suo stare nel tempo, anzi in “quel” tempo…” così dice Mazzolato, scrittore di Treviso, anima vera di un veneto mai scomparso, solo assordato da quel chiasso delle luci artificiali, che non lascia vedere le stelle, descritto da un altro veneto troppo poco ascoltato, Mario Rigoni Stern.

Eppure, è ancora tremendamente bella Treviso. E per chi viene da fuori anche più bella di quanto lei stessa pensi, bella nonostante la sensazione che potrebbe essere stata ancora una volta illusa, ed ancora dominata, munta, sfruttata nelle sue potenzialità dagli stessi di prima, che han cambiato solo il modo di dirsi, da “er padrone” a “el paron”. La sostanza è sempre quella, svuotare un essenza, magari anche un po’ sbandierarla e poi farne affare proprio. 

Essenze… Autenticità. Venezia non va persa, ma forse, di Venezia, bisogna un po’ cambiare il sapore di quando la si guarda. L’hanno rifatta a Las Vegas, di cartapesta e gesso, con i turisti in coda  a pagare un giro su pochi metri di canale, ma probabilmente oggi è un feticcio anche là dove è sempre stata, un prodotto tarocco di noi che ci camminiamo a milioni, che scivoliamo sui ponti, che frughiamo fra le sue ombre, che confondiamo l’identità con le foto sul telefonino, e non può essere altrimenti perché a noi che stiamo lì non è stata insegnta non solo la risposta fondamentale, ma anche la domanda: che cosa ci sta dicendo questo posto?

Già, Venezia. Venezia contraddizione, miseria e nobiltà apparente, che già si annuncia con un inganno, quei cannoni repubblicani che da due secoli la difendono dal nulla, monumento ad una fine che non è stata come noi vorremmo fossero i the end, definiti, belli, puliti, eroici. No, Venezia non è morta in un giorno, è un’epoca morente, e non è la stessa cosa.

Venezia, alla fine, forse potrebbe essere la sostanza vera, magnifica, di estasi di un mondo che ha inventato Eurodisney. Grandiosa, autentica, vincente proprio nella sua diversità. Perchè Eurodisney, ogni Eurodisney, è quella roba là, è falso, quella merce che inganna, che mente, che recita a memoria il verso di vincere e a cui non interessano le risposte ma solo una domanda: quanta “trippa” ancora può regalarci, questo posto?

Forse il veneto ritroverà se’ stesso solo quando Venezia ridarà a tutti la sua anima.

Bologna, Treviso, Venezia, Udine. Un tragitto senza molti sensi, ma un percorso che in fondo, nelle sue contraddizioni, può lasciare molto, fra sensazioni, emozioni, ricordi e bellezza. Ecco, in fondo questo mondo dopo la crisi merita itinerari inediti, scritti per contraddire, più che abbagliare.

Una guida con meno monumenti e più sentimenti veri, quelli profondi, che durano una vita.

 
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