Rustam Sardalov; il personaggio dietro il pittore

Prima di tutto esiste l’arte. Insita nella natura. Poi c’è l’artista. Insito nella natura umana. Per finire, c’è lo spettatore; il grande voyeur, che fruisce le bellezze che l’arte mette a disposizione dell’uomo.

Ma cos’è l’arte? Questa domanda sembra tormentare l’uomo fin dagli inizi. Cercando una risposta e volendo parafrasare due grandi nomi, quelli di Albert Camus e di Oscar Wilde, si potrebbe dire che se il mondo fosse chiaro, l’arte non esisterebbe. Del resto, esistono due modi per non apprezzare l’Arte. Il primo consiste nel non apprezzarla. Il secondo, invece, nell’apprezzarla con razionalità.

L’arte dunque non è, non può e, soprattutto, non vuole essere chiarezza né razionalità. L’arte è passione, istinto, irrazionalità. Amore e sentimento. L’arte, prima di tutto, è dunque espressione.

L’artista, con i suoi mezzi, esprime. Esprime ciò che vede, ciò che percepisce e lo fa rendendo immortali i suoi soggetti e le sue idee.

Rustam Sardalov esprime o per meglio dire, si esprime, attraverso un eclettismo di tecniche pittoriche, che palesano il fascino dell'inquieto e del torbido, di una meditazione lacerante sulla condizione intima dell'uomo in balia di ipocrisie e finzioni della società.

Mosca, città russa dall’indubbia bellezza, situata sulle inclite rive del fiume Moscova. Città, che tra Oriente e Occidente, porta il suo esimio fascino ortodosso. Un pittore, Rustam e i suoi dipinti. Una mostra. Un pubblico. La critica. I suoi quadri assomigliano a quelli di Francis Bacon – dicono di lui i critici. I suoi personaggi, all’interno dei suoi quadri, effettivamente, danno una strana sensazione di smarrimento. Ci si chiede, guardando le sue tele, se i suoi personaggi son finti oppure reali? Esistono per davvero o il fruitore li sta immaginando? Scomposti costringono la fantasia a lavorare per ricostruire i tasselli che li compongono e che come spettri animano le sue opere.

In Rustam, oltra che Bacon, c’è anche un po’ di Goya. Tutta la drammaticità e la cupezza dell’animo umano, che Francisco Goya palesa nei suoi quadri, Rustam, definito per l’appunto il Goya ceceno, la esalta e la esterna nelle sue tele, dove l’angoscia e l’ambiguità dell’essere umano prendono forma tra colori e sfumature di grigio.

Diceva Picasso, che ogni bambino è un artista nato; la difficoltà sta nel restarlo da adulti.

Ho imparato a dipingere come Raffaello. Ora voglio imparare a dipingere come un bambino…”

Quello di Picasso è dunque un concetto ellittico, che senza volerlo, crea un paradosso; il paradosso del bambino artista che impara a dipingere, diventa artista e, come per assurdo, disimpara la sua arte. Deve perciò tornare alle sue ataviche origini, per cercare se stesso e reimparare a dipingere.

Rustam, a conoscerlo meglio, sembra che queste “fatiche”, le abbia abilmente saltate a piedi uniti.

 Durante una sua mostra personale, tenutasi nel Giugno 2013 a Vladikavkaz sua madre racconta un affettuoso quanto emblematico aneddoto sul figlio.

“Rustam aveva appena 4 o 5 anni – racconta la mamma – andava ancora all’asilo. Un giorno, la sua maestra, mi prese da parte e, in modo concitato, cominciò a declinarmi le sue doti artistiche asserendo che, i suoi quadri, a differenza di quelli dei suoi compagni di classe, avevano qualcosa di particolare.  Sosteneva con particolare insistenza – continua con enfasi la madre – che mio figlio avrebbe avuto un futuro d’artista e con esso, un successo.”

Sua madre si chiedeva se la maestra stesse esagerando ma, il presente lo conferma, alla fine, quella maestra d’asilo, ci aveva visto giusto.



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